Ultimo aggiornamento 31/10/2018 12:26
Ago 31, 2017 Redazione EDU-Action-terapie -fase avanzata, News, Questioni pratiche - Terapie - fase avanzata 0
Entro il 2017 i primi pazienti potranno sperimentare una nuova terapia per la malattia di Parkinson che si basa sul trapianto di neuroni dopaminergici ottenuti da cellule staminali riprogrammate, le cosiddette staminali pluripotenti indotte (iPs).
Come riportato in uno studio giapponese pubblicato a fine agosto su Nature, scimmie con sintomi della malattia neurodegenerativa, a più di 2 anni dal trapianto con iPs umane, hanno avuto miglioramenti significativi dei sintomi motori, senza problemi di sicurezza, aprendo all’impiego del trattamento sui pazienti.
Da numerosi studi precedenti è emerso che il trapianto di neuroni dopaminergici ricavati da cellule fetali riesce ad alleviare i sintomi della patologia. Tuttavia l’impiego di tessuto fetale è controverso, mentre le iPs possono essere ottenute dal sangue o della pelle. Grazie alla tecnica che hanno fruttato il Nobel della Medicina nel 2012 al giapponese Shinya Yamanaka e all’inglese John Gurdon, le cellule adulte vengono infatti riprogrammate in modo da tornare a una condizione di pluripotenza, cioè capaci di dare origine a qualunque cellula dell’organismo.
I dati dello studio suggeriscono che i neuroni dopaminergici ricavati da cellule iPs funzionano altrettanto bene quanto quelli ottenuti dal tessuto cerebrale fetale senza sviluppare tumori o reazioni autoimmuni che non possano essere controllate con farmaci immunosporessori.
In un articolo di commento, si fa notare che in teoria le cellule iPs potrebbero essere ottenute dal singolo paziente ed eliminare così il rischio di reazione autoimmune e quindi l’assunzione di farmaci mmunosopressori. In realtà il processo per ottenere cellule iPs è costoso e richiede circa due mesi. Gli autori dello studio ritengono più costo/efficace utilizzare varie linee cellulari ottennute da soggetti sani da testare con biomarker immunuitari in modo da procedere all’impianto delle cellule più compatibili con il ricevente e minimizzare l’impiego di immunosopressori.
In un altro lavoro sulle scimmie pubblicato su Nature Communications, lo stesso team giapponese ha scoperto infatti che, perché una terapia cellulare abbia più speranze di successo, donatore e ricevente devono avere un corrispondente profilo immunitario Hla (sistema dell’antigene leucocitario umano, Mhc nei primati). In questo modo, anche se non è possibile evitare una terapia immunosoppressiva per scongiurare il pericolo di rigetto, il trattamento può essere somministrato a dosi inferiori con un minor rischio di infezioni.
Fonte
Human iPS cell-derived dopaminergic neurons function in a primate Parkinson’s disease model.Nature 548, 592–596 (31 August 2017) doi:10.1038/nature23664.Published online 30 August 2017
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